Meloni contro le toghe, l'Anm risponde: "Non facciamo politica, rispettiamo solo la Costituzione"

“I magistrati non fanno politica, fanno il loro mestiere ogni giorno nonostante insulti, intimidazioni e una campagna costante di delegittimazione che danneggia i fondamenti stessi del nostro Stato democratico”, è secca e dura la risposta della Giunta esecutiva centrale dell'Associazione nazionale magistrati alle accuse della presidente del Consiglio Giorgia Meloni.
Nelle ultime ore la premier ha affondato contro le toghe a più riprese, ha cominciato annunciando l'archiviazione della sua posizione sul caso Almasri da parte del Tribunale dei ministri, e lo ha fatto di nuovo con un altro post sui social e nell'intervista al Tg5 ieri sera. “La sinistra ricorre ai giudici per batterci”, queste le sue parole, tra le altre, che riaccendono uno scontro mai davvero sopito tra i due poteri dello Stato.
Continua la nota dell'Anm: "La giustizia è amministrata in nome del popolo. I giudici sono soggetti soltanto alla legge. Lo afferma l'art.101 della nostra Costituzione, che è un architrave della nostra democrazia. La magistratura italiana continuerà a svolgere il proprio compito con profondo rispetto del mandato costituzionale. Non esiste alcun disegno avverso all'esecutivo, affermarlo significa non comprendere il funzionamento della separazione dei poteri dello Stato".
Il ministro della Giustizia Carlo Nordio torna sulla vicenda della sua capogabinetto Giusi Bartolozzi, al centro delle indagini per la vicenda Almasri, anche se al momento non è formalmente indagata. Bartolozzi avrebbe avuto un ruolo chiave nella gestione della scarcerazione del generale libico accusato di crimini di guerra e ricercato dalla Corte penale internazionale. “Dopo una continua, pubblica e ininterrotta diffusione di notizie sul ruolo della mia capogabinetto, dottoressa Giusi Bartolozzi, ho letto la motivazione del Tribunale dei ministri e le illazioni che ne hanno tratto alcuni giornali. Come la presidente Meloni ha ritenuto surreale che i suoi ministri abbiano agito senza il suo consenso, così anch’io ritengo puerile ipotizzare che il mio capo di gabinetto abbia agito in autonomia", dice il ministro.
"Ribadisco che tutte, assolutamente tutte le sue azioni sono state esecutive dei miei ordini, di cui ovviamente mi assumo la responsabilità politica e giuridica. La sola ipotesi, che ho appreso con raccapriccio, che un’eventuale incriminazione della mia collaboratrice sia un escamotage per attribuire alla giurisdizione penale un compito che ora è squisitamente parlamentare mi fa inorridire, perché costituirebbe una strumentalizzazione politica della Giustizia. Mi auguro che queste insinuazioni finiscano, e che il Parlamento, secondo la Legge Costituzionale, si pronunci definitivamente sul ruolo del mio ministero, di cui, ripeto, sono l’unico e responsabile capo”.
Ricordiamo che, secondo gli atti dell’inchiesta, Bartolozzi avrebbe ostacolato la corretta procedura invitando a mantenere la massima riservatezza, prediligendo comunicazioni tramite l’app Signal per evitare tracce formali, e non avrebbe sottoposto al ministro Nordio la bozza di provvedimento che avrebbe potuto impedire la scarcerazione di Almasri.
Inoltre, la sua deposizione è stata giudicata “inattendibile e mendace” dagli inquirenti, con gravi contraddizioni sull’effettiva condivisione delle informazioni con il ministro Nordio, con cui diceva di sentirsi frequentemente. Dalle testimonianze emerge anche che si discusse la possibilità di espellere Almasri con un volo di Stato qualora fosse stato rilasciato dalle autorità giudiziarie.
La Procura di Roma sta valutando un fascicolo specifico nei suoi confronti che potrebbe portare a un processo in sede ordinaria, lasciando così aperta la possibilità di un coinvolgimento indiretto dei ministri. Bartolozzi risulta quindi come un “anello debole” in questa vicenda giudiziaria complessa, con accuse che riguardano principalmente omissioni e gestione non trasparente della pratica di detenzione di Almasri, culminata nel suo rilascio e rimpatrio. Ma quando un ministro si assume la piena responsabilità di tutte le decisioni, i sottoposti diventano degli esecutori difficili da colpevolizzare.
Non è stata accolta la richiesta avanzata alla presidenza della Camera da parte della capogruppo di Avs, Luana Zanella, di rendere pubblici e disponibili a tutti i deputati tutti gli allegati relativi al caso Almasri e non la sola richiesta da parte dell'autorità giudiziaria. Il presidente Lorenzo Fontana - secondo quanto viene riferito da fonti parlamentari - ha infatti replicato alla lettera della parlamentare con una missiva nella quale evidenzia che una "prassi assolutamente consolidata e mai contraddetta" prevede la pubblicità per tutti della sola richiesta di autorizzazione ("stampata integralmente e pubblicata anche su internet - e quindi disponibile per tutti") così come lo saranno "i resoconti delle sedute della Giunta nonché la relazione della Giunta presentata all'esito della sua attività referente nei confronti dell'Assemblea". Sono invece riservati alla consultazione dei soli membri della Giunta - si spiega nella lettera di Fontana -"gli allegati e gli ulteriori atti inviati dall'autorità giudiziaria". Un regime riconosciuto, si osserva, in diversi precedenti.
Il caso ha avuto inizio lo scorso 6 gennaio, quando il capo della polizia giudiziaria libica ha iniziato il suo viaggio per l'Europa, volando da Tripoli a Londra e facendo scalo all'aeroporto di Roma-Fiumicino. Dopo essersi trattenuto nella capitale britannica per sette giorni, il 13 gennaio Almasri si è trasferito a Bruxelles in treno per poi proseguire diretto in Germania, viaggiando in macchina con un amico. Durante il suo tragitto verso Monaco, il 16 gennaio, è stato fermato dalla polizia per un controllo di routine e gli agenti lo hanno lasciato proseguire. Infine è arrivato a Torino in auto, per assistere a una partita di calcio.
Sabato 18 gennaio, dodici giorni dopo l'inizio del viaggio del comandante libico in giro per l'Europa, la Corte penale internazionale - con una maggioranza di due giudici a uno - spicca un mandato d'arresto sul generale per crimini di guerra e contro l'umanità commessi nella prigione di Mittiga, vicino a Tripoli, dal febbraio 2011. In quel carcere sotto il suo comando, secondo i documenti dell'Aia, sarebbero state uccise 34 persone e un bimbo violentato.
Domenica 19 gennaio Almasri, da poco arrivato nel capoluogo piemontese, viene fermato e messo in carcere dalla polizia italiana ma viene in seguito rilasciato il 21 gennaio su disposizione della Corte d'Appello a causa di un errore procedurale: si è trattato di un arresto irrituale, perché la Corte penale internazionale non aveva in precedenza trasmesso gli atti al Guardasigilli Nordio.
L'arresto non è stato "preceduto dalle interlocuzioni con il ministro della Giustizia, titolare dei rapporti con la Corte penale internazionale; ministro interessato da questo ufficio in data 20 gennaio, immediatamente dopo aver ricevuto gli atti dalla Questura di Torino, e che, ad oggi, non ha fatto pervenire nessuna richiesta in merito", si legge nell'ordinanza della corte di Appello di Roma, che dispone l'immediata scarcerazione.
Poco dopo il suo rilascio, nello stesso giorno, il comandante libico è stato rimpatriato dall'Italia su un volo di Stato, prima di essere portato in trionfo da decine di suoi sostenitori che lo hanno accolto festanti. La serie di eventi ha scatenato le accese proteste dell'opposizione e della stessa Corte penale internazionale, dopo aver visto sfumare la consegna di un uomo che voleva arrestare per crimini di guerra e contro l'umanità. "Stiamo cercando, e non abbiamo ancora ottenuto, una verifica da parte delle autorità sui passi compiuti", ha fatto sapere la Corte Penale Internazionale.
Un paio di giorni dopo il governo interviene ufficialmente per la prima volta, attraverso il ministro dell'Interno Matteo Piantedosi, che al question time al Senato fornisce una prima risposta: una volta scarcerato su disposizione della Corte d'Appello, Almasri è stato "rimpatriato a Tripoli, per urgenti ragioni di sicurezza, con mio provvedimento di espulsione, vista la pericolosità del soggetto" e per il fatto che dal momento del rilascio "era 'a piede libero' in Italia".
Rai News 24